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barricate a palermo front

Quella guerriglia contro il governo. Lombino e Michelon svelano una storia. 

Articolo di Giusi Parisi

Un’insurrezione popolare palermitana del settembre 1866 sconosciuta ai più. Una crisi tra (neo) governati e governanti del neonato regno di Sicilia e non un semplice episodio di delinquenza collettiva come, invece, fu bollata. Quella che oggi chiameremmo guerriglia, all’epoca fu un moto di forte ribellione di un gruppo di repubblicani radicali i quali, grazie all’aiuto di esponenti clericali e filoborbonici, cercavano la rivincita contro i moderati e Giuseppe Mazzini. 

La rivolta che mise a ferro e fuoco le strade e le piazze del capoluogo durò all’alba del 16 a mezzogiorno del 22 settembre 1866 cioè sette giorni e mezzo e fu così chiamata utilizzando il nome di un noto gioco di carte. 

Barricate a Palermo. La rivolta ibrida del Sette e Mezzo (I Buoni Cugini editori; pp. 184; € 17,00) di Santo Lombino e Domenico Michelon è il libro che ogni siciliano dovrebbe avere nella biblioteca di casa, perché racconta un avvenimento avvenuto nell’isola che sui libri di storia non c’è. La rivolta, che aveva le stesse caratteristiche di quelle del 1820, del 1848 e 1860 e che era guidata dagli stessi capisquadra che avevano agito in quelle occasioni come Giuseppe Badia, vero capo della rivolta, fu definita dalla stampa nazionale di “barbarie e inciviltà” e frutto di manovre della nascente mafia. 

In realtà, furono le nuove governative (che temevano di perdere prestigio a livello internazionale) a soffiare sull’argomento mafia. I palermitani scesero in piazza per ribellarsi ai “predoni” di casa Savoia ma finirono malamente tra repressioni e condanne a morte di speciali tribunali. Lombino e Michelon, invece, con dovizia di particolari e un taglio storico-politico-scientifico, ce la presentano per quella che fu: una storia di malcontento popolare con migliaia di morti tra gli insorti che non disponevano di armi a sufficienza. 

Barricate a Palermo si compone di quattro parti. La prima ripercorre le vicende politiche in Sicilia dal plebiscito del 1860 per poi esaminare le cause del nascente e crescente malcontento, l’atteggiamento delle classi dirigenti nazionali nei confronti dell’isola, gli esponenti governativi e testimoni dell’epoca. 

Nella seconda parte, gli autori accompagneranno il lettore in quello che potremmo definire il diario giornaliero della sollevazione popolare e la conseguente reazione delle autorità politiche. La terza parte, invece, presenta le biografie dei principali personaggi che prepararono l’insurrezione mentre la quarta è una “guida ragionata” con disegni e cartine ai luoghi del Sette e Mezzo, alle strade e piazze che furono teatro degli scontri e agli edifici provati e pubblici assaliti dagli insorti. 

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Recensione di Gaetano Celauro su malgradotuttoweb.it 

 

I due autori pongono in essere una ricostruzione fedele ed accurata di un moto rivoltoso dai caratteri multiformi che stravolse Palermo all’indomani dell’Unità d’Italia.

Le rivolte sono una costante nel corso del tempo del vissuto del capoluogo della Sicilia e l’intitolazione del libro bene esprime e significa questo lavoro prezioso a quattro mani di due veri appassionati e studiosi di valore della Storia della Sicilia e non solo. Ma appare riduttivo definire solo storia locale un evento quale la rivoluzione del sette e mezzo che ha avuto refluenze sull’intera storia d’Italia. Sui motivi di questo “ibrido” moto rivoltoso, in cui si rivela e constata la coesistenza di caratteri eterogenei, si indaga sulle ragioni e vere motivazioni con dovizia di particolari, dopo attente e minuziose ricerche.

Un evento storico, trascurato o addirittura misconosciuto da molti a parte gli storici o gli appassionati, e a questo proposito l’opera di Giacomo Pagano risulta essere il più importante riferimento. Ma in questo volume, di agile e facile consultazione, si è voluto riportare minuziosamente tutto quello che è avvenuto nel corso di quei sette giorni di rivolta, in maniera esaustiva, dettagliata e precisa. L’apporto di Domenico Michelon è stato fondamentale per la descrizione precisa dei luoghi dove la rivolta ha avuto luogo e dove materialmente si è combattuto. Ma certe zone della città hanno nel tempo mutato aspetto, anche radicalmente, ed è stato difficile riconoscerli e pertanto si è allegata al libro una mappa che riporta e raffronta i luoghi degli scontri come erano alla data del 1866 e come sono attualmente.

“Barricate a Palermo. La rivolta ibrida del Sette e Mezzo” si distingue per il suo carattere divulgativo e per la ricchezza di immagini e riproduzioni, agevola la ricostruzione degli eventi. Si indica come si organizzò la rivolta, i luoghi interessati, e seguendo il percorso degli insorti si compie un vero viaggio all’interno della Palermo di allora.
Verificando i luoghi, come descritti nel libro, è possibile avere un esatto quadro di riferimento e fare un collegamento a precedenti moti cittadini come quelli del 1820, del 1843, del 1848 e del 1860. Ma quello che importa agli autori è esaminare e approfondire il carattere e le cause della rivolta del 1866.

Era recente la formazione del nuovo Stato unitario avvenuta senza particolari entusiasmi, se non la passione dei vecchi patrioti liberali ma, dietro di loro, era assente una base popolare. Durante la rivolta del 1866 a Palermo si gridava, sventolando bandiere rosse, “Viva la Repubblica”, come pure “Viva S. Rosalia” e persino “Viva Francesco II”, esprimendosi in tal modo la incerta natura delle molte disillusioni della rivoluzione garibaldina. Ad aggravare la situazione contribuì poi un altro allarmante evento quale lo scoppiare di una epidemia di colera nel 1866 in un contesto pieno di speranze, con una mafia che continuava a operare e con la nascita e lo sviluppo del brigantaggio. Nefaste conseguenze aveva portato la imposta leva militare obbligatoria a cinque anni che avrebbe privato di braccia una risorsa economica fondamentale quale era in Sicilia l’agricoltura. Refluenze negative sulla già martoriata terra di Sicilia ebbe, altresì, l’approvazione, nel mese di luglio del 1866, della legge sull’ abolizione degli ordini religiosi e soprattutto delle Opere Pie; fu un ulteriore elemento che aggravò i rapporti tra i cittadini e il nuovo Governo, venendo ad essere danneggiate economicamente migliaia di persone che operavano all’interno di questi organismi e di coloro che ne godevano i benefici dalla loro attività, specie quella assistenziale.

La rivolta venne messa violentemente a tacere nei sette giorni e mezzo che vanno dal 15 fino al 22 settembre con cannoneggiamenti violenti e continui che procurarono notevoli danni materiali, fiaccando il morale della cittadinanza.

 

Non riesce facile procedere ad una qualificazione precisa e definita di questa rivolta che vide arrestati 2427 individui e 297 cittadini sommariamente processati di cui 127 condannati all’ergastolo e ai lavori forzati non trascurando come quelle palle di cannone procurarono più di tremila morti, ma poco o nulla lo si trova scritto nei libri di Storia. Fu di certo una rivoluzione spontanea, una vera rivolta di popolo ma non si può escludere come qualcuno abbia pescato nel torbido, approfittando della situazione per propri fini, in ragione degli acclarati inserimenti di mafiosi e di bassa criminalità.

Citando gli autori: “L’insurrezione scoppiata a qualche mese dalle sconfitte di Lissa e Custoza era chiaramente indirizzata contro il governo della Destra storica e la Monarchia Sabauda, ormai dimentichi di avere coronato il sogno dell’unificazione nazionale (benché da completare), anche grazie al contributo di sangue, di impegno e di lotta dei Siciliani”.

Un lavoro a quattro mani ben articolato, con una elegante veste tipografica ed una splendida copertina opera di Giuseppe lo Bocchiaro. Un libro che nasce con una duplice finalità, quella di cercare di comprendere la natura di questa rivolta dalla natura multiforme, volendo altresì sfatare la falsa nomea di una Sicilia gattopardesca acquiescente come dipinta dal Principe Fabrizio, cioè di una terra di gente che subisce sempre passivamente e non si ribella contro le ingiustizie e i soprusi. La rivolta del 1866 fu invece un moto popolare significativo specie in un mondo arretrato come quello di allora, e gettò le basi per future lotte e conquiste.

Il 15 settembre del 1866 una bomba deflagrò nel centro di Monreale e quello fu il segnale  della rivolta che poi inizierà all’alba. Nel moto si ebbe una convergenza del Partito d’Azione, della Sinistra radicale con i filoborbonici e i clericali che in quel momento ebbero un nemico comune. Furono sette giorni movimentati con barricate erette in diverse zone e con assalti alle caserme, agli uffici pubblici, alle prigioni e con bombardamenti anche dal mare sui rivoltosi.

Il volume è diviso in quattro parti nelle quali si rivive il contesto e l’insurrezione giorno per giorno e si descrivono i vari protagonisti.